Il maritozzo fa parte della storia di Roma ed è un’antica ricetta fatta di ingredienti semplici quali acqua, farina, lievito, zucchero, latte, uova e burro oppure olio che dà vita a una pagnottella soffice spaccata a metà e riempita di panna montata o di crema.
Sono molte le varianti che si conoscono: quello tradizionale con panna, quaresimale con uvetta e pinoli, ricoperto di cioccolato, ma anche farcito con prodotti salati come burrata, pomodoro, pesto e baccalà.
La storia del maritozzo romano
Me stai de fronte, lucido e ‘mbiancato, la panna te percorre tutto in mezzo, co ‘n sacco de saliva nella gola, te guardo ‘mbambolato e con amore. Me fai salì er colesterolo a mille, lo dice quell’assillo d’er dottore, ma te dirò, mio caro maritozzo, te mozzico, poi pago er giusto prezzo! (Ignazio Sifone, Ode ar maritozzo, Garbatella, 1964).
Il maritozzo risale al tempo dei Romani: infatti esistevano già delle pagnotte addolcite dall’aggiunta di miele e uvetta e costituivano un pasto sostanzioso e nutriente che coniugava bontà e praticità ed era realizzato dalle moglie per i mariti.
Da questo panino derivarono i maritozzi, la cui ricetta originale prevedeva l’aggiunta dell’uva passa. In tempi più recenti era l’unico peccato di gola che ci si poteva concedere durante la Quaresima – periodo in cui prendeva lo scherzoso appellattivo di “er Santo Maritozzo” – dalla forma più piccola, dal colore più scuro e arricchito da uvetta, pinoli e scorzetta d’arancia candita.
La nascita del nome è avvolta nella leggenda
Sono diverse le leggende e i racconti intorno al maritozzo. Studiosi, poeti e artisti della tradizione romana si sono prodigati nel lodare questo dolce, tra Giggi Zanazzo, Adone Finardi, Giuseppe Gioacchino Belli che raccontano come il maritozzo in passato venisse donato dal ragazzo alla propria fidanzata il primo venerdì di marzo.
All’interno del suo cuore morbido era contenuto poi un anello o un oggetto d’oro e qui il futuro marito prendeva l’appellativo canzonatorio di maritozzo.
Sul maritozzo venivano inoltre realizzati dei disegni con lo zucchero che rappresentavano dù cori intrecciati, o dù mane che sse stringnéveno oppure un core trapassato da una frezza (Zanazzo in Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma, 1907).
Secondo altri ancora invece con l’impasto veniva realizzato un dolce a forma di cuore e donato dalle ragazze in età da marito al più bel giovane del paese, il quale a sua volta avrebbe preso in moglie l’artefice del più buono.
Nel corso dei secoli i maritozzi hanno assunto delle denominazioni differenti a seconda della zona dove venivano preparati: a Carbognano “maritèlli”, a Vetralla “panmarìti” mentre a Vignanello “panpariti”.