Il dialetto romano è divertente, scherzoso e proprio per questo amato in tutto il mondo: fatto di detti antichi, di proverbi e leggende, ma anche di quelle parole (quasi sempre incomprensibili una volta oltrepassati i confini della Capitale) che per i romani sono il pane quotidiano. Espressioni, intercalari, abbreviazioni, esclamazioni di cui i romani vanno fieri: da daje che sta bene a conclusione di qualsiasi frase, a stacce che fa rassegnare il romano, ma sempre con quel pizzico di ironia che non guasta mai.
Sicuramente daje occupa il primo posto delle più famose espressioni romane, nonché versione della Capitale di dai che però viene utilizzata anche come saluto tra i ragazzi.
Passiamo poi a t’accolli, che si dice a una persona fastidiosa, insistente, che si attacca a qualcuno e non lo molla più e il sopracitato stacce, che vuol dire simbolicamente che ti piaccia o no è così, con un tono di rassegnazione.
Stai manzo vuol dire stai calmo e/o di controllarsi, na cifra vuol dire tantissimo in riferimento a una quantità, ma anche per esprimere un parere positivo su qualcosa e aripijate letteralmente vuol dire riprenditi e viene utilizzato per dire contieniti, non esagerare.
Proseguiamo poi con m’arimbarza, che significa non mi fa né caldo né freddo, ndo cojo cojo che significa procedere senza un obiettivo oppure una meta precisa, che tajo che vuol dire che divertimento oppure che bello, a buffo vuol dire a vanvera o senza motivo (parlare a vanvera) e scapoccià vuol dire perdere il controllo, o perdere letteralmente la testa (cioè la capoccia).
Tra i modi di dire pittoreschi troviamo anche papale papale, espressione veloce e spesso inserita in frasi informali, nel parlare di tutti i giorni per fare riferimento a qualcosa che si vuole dire in modo chiaro.
Il riferimento al Papa c’è perché le parole del Pontefice infatti vengono ritenute chiare, veritiere, oneste. Da qui dunque l’utilizzo del gergo papale papale per riferire qualcosa in maniera trasparente, senza giri di parole e che arrivi dritta al punto.
Infine citiamo il Nun fa na piega, espressione utilizzata di fronte a un ragionamento assolutamente logico o magari in riferimento a una persona impassibile.
Viene dall’italiano non fare una piega, espressione utilizzata per indicare un concetto senza alcun errore, che non ha bisogno di correzione alcuna. In certi casi viene utilizzata riferendosi a una persona che non mostra emozioni, che resta impassibile, glaciale e tutta d’un pezzo.
Invece tra i detti troviamo Come er cacio sui maccheroni, utilizzata quando un abbinamento risulta perfetto o quando una cosa ne completa un’altra impeccabilmente, quindi si dice di una ricetta, un look o di una situazione quotidiana.
Infatti il cacio i maccheroni li insaporisce, li rende succulenti, li completa e proprio da questo concetto di perfezione nasce il detto romano.
Quante volte abbiamo usato Se non è zuppa è pane bagnato o alla romana Si nun è zuppa è ban bagnato? Il significato è chiaro e non necessita di grandi spiegazioni: questa espressione viene utilizzata per dire che, anche se una cosa o una situazione viene presentata in modo diverso, resta in sostanza la stessa.
Ma come nasce questo modo di dire e perché esprimere questo concetto mettendo in relazione la zuppa e il pane bagnato? Risalendo all’etimologia di queste parole scopriamo che zuppa viene dal gotico suppa che vuol dire proprio fetta di pane bagnato.
Ecco allora che dire Si nun è zuppa è pan bagnato equivale a dire se non è fetta di pane bagnato è pane bagnato, ovvero la stessa cosa.
Altro detto molto usato è Cercà cor lanternino, espressione con cui si intende il cercare una cosa difficile da trovare, una ricerca scrupolosa, attenta e paziente.
Viene usato per lo più per riferirsi a quelle persone che finiscono sempre nei guai, si mettono nei pasticci, si ritrovano a risolvere preoccupazioni, sventure e grattacapi.
Ma perché si fa riferimento al lanternino per dire tutto questo? Sembra che il detto originale fosse cercare con la lanterna volendo richiamare la lanterna con cui il filosofo Diogene andava in giro, anche di giorno, per cercare l’uomo.
Anche Vecchio come er cucco è molto usato e fa parte del parlato comune. Questa espressione viene utilizzata per riferirsi a un oggetto molto vecchio o a una persona molto anziana, ma anche a un concetto, un modo di pensare che si ritengono antichi o passati di moda. Ma qual è l’origine di questo detto?
Si pensa che il termine cucco derivi da cuco, un fischietto tra i primi giocattoli sonori dei tempi antichi, mentre una seconda versione invece afferma che il termine sarebbe una deformazione onomatopeica di Abacuc, uno dei 12 profeti d’Israele. Quest’ultimo, infatti, viene sempre rappresentato come un uomo anziano, pensieroso e dalla lunga barba.
Vi è mai capitato di dire M’hai fatto venì il latte alle ginocchia oppure di averlo sentito dire da altri? Questo modo di dire, abbastanza diffuso oggi a Roma, esprime una situazione di noia assoluta, di insofferenza oppure ci si può riferire a una persona pesante che annoia.
Cosa centra però il latte alle ginocchia? Questo modo di dire deriva da un’antica tecnica di mungitura delle mucche, quella svolta a mano che qualcuno svolge ancora oggi.
In pratica, colui che deve mungere a mano la mucca, si siede solitamente accanto al bovino, mette un secchio sotto alle mammelle e inizia la mungitura. Si tratta, però, di una pratica lunga, faticosa, spesso noiosa, anche perché il latte deve arrivare fino al livello delle ginocchia.
Quando non c’è proprio niente da fare, quando non ci sono alternative, quando non ce n’è per nessuno, spesso i romani usano dire che Nun c’è trippa pe gatti.
L’espressione sembra essere recente – circa gli inizi del ‘900, più precisamente tra il 1907 e il 1913 – quando il sindaco di Roma Ernesto Nathan divenne famoso in particolare per i tagli che fece al bilancio pubblico.
Controllando il piano finanziario della città, Nathan notò una spesa che era denominata frattaglie per gatti: in pratica il Comune pagava il cibo alle colonie feline di Roma, questo perché i gatti erano preziosi per la città, davano infatti la caccia ai topi evitando che questi ultimi rosicchiassero i documenti degli archivi.
L’allora sindaco di Roma Ernesto Nathan, venuto a conoscenza di tale spesa decise di annullarla, annunciando che, da allora i gatti avrebbero dovuto procurarsi da soli il cibo e scrisse sul bilancio Non c’è trippa per gatti.
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